E’ noto tra chi si occupa di progettazione che l’evoluzione delle metodologie progettuali passa per la gestione della complessità, non solo per quanto riguarda l’oggetto, ovvero l’artefatto da progettare, ma anche per il processo che ne determina le specifiche, le soluzioni, gli interlocutori coinvolti.
Infatti sempre di più si sente l’esigenza di concepire la progettazione all’interno di un processo iterativo e ciclico capace di cogliere tutte le opportunità, i vincoli e le diverse sollecitazioni che i multipli stakeholder manifestano nei diversi momenti di concepimento di un’opera, sia essa un’architettura, uno spazio urbano, un’infrastruttura o perfino un artefatto socioculturale.
Se in passato si poteva concepire un processo, ovvero un chiara sequenza di operazioni al cui interno fosse esplicito “chi fa, che cosa” con i tempi predeterminati, la complessità ci pone di fronte al senso di un progetto sempre più frutto dell’interazione di progettisti differenti, specialisti, committenti e utenti, ognuno dei quali esprime e rappresenta un pezzo del quadro da realizzare. Ruoli che mantengono un alto grado di ibridazione, di ruoli chiari, ma anche capaci di interscambiarsi, così da cogliere nuove possibilità, opportunità, innovazione, in altri termini creatività controllata e talvolta incontrollata.
Per fare questo e non cadere nel rischio del caos ingovernabile, è necessario dare sempre più spazio alla fase di analisi e di elaborazione progettuale e automatizzare, per quanto possibile i passaggi operativi tecnici. Questo è il motivo per cui i processi progettuali si stanno rafforzando su due fronti:
• da una parte, a valle, nell’utilizzo di tecniche come il BIM ( Building Information Model) che automatizza il passaggio dall’idea progettuale e il disegno del manufatto alla definizione di tutti i componenti semplici o aggregati che lo determinano, facilitando quindi i meccanismi di aggiornamento dinamico, di parametrizzazione e di definizione delle specifiche gestionali e amministrative;
• dall’altra nella parte a monte, ovvero in tutte le azioni capaci di elevare la qualità del progetto nell’adeguarsi alle sempre più critiche e articolate specifiche e sollecitazioni date dai diversi attori che agiscono nelle fasi del definirsi, nel farsi e verificarsi del progetto.
E proprio su questo ultimo punto che le esperienze dei processi partecipativi (ovvero quei processi di ascolto, elaborazione, confronto, sintesi e decisione sociale) hanno messo in luce come intervenire per creare le opportunità di condivisione e convergenza, come anche di gestione del confronto e dei naturali conflitti nelle scelte sociali e territoriali.
Tali dinamiche, in precedenza nella testa dell’unico progettista e di un committente univoco, ad operare per un’utenza spesso neanche interpellata, oggi vanno gestite con metodi e strumenti di supporto capaci di essere sincronizzazione e coordinamento del processo progettuale, permettendo di percorrere passi espliciti, ma al tempo stesso di poter rivedere e gestire costantemente strade alternative ed evoluzioni del progetto.
Per fare questo è quindi necessario porsi il problema dei linguaggi di rappresentazione che come è noto sono ben diversi tra progettisti, committenti e utenti.
A venirci incontro sono le tecnologie di realizzazione di ambienti virtuali, che non solo simulano gli effetti percettivi dei progetti con la creazione dei render, ma permettono di creare veri ambienti immersivi caratterizzati dalla libera navigazione ovvero capaci di fornire all’ipotetico fruitore di questi ambienti la possibilità di muoversi, di assumere comportamenti e azioni correlate alla percezione. Tali ambienti, fruibili oggi anche attraverso la Rete tali da essere definiti web3D in libera navigazione, possono oramai essere fruiti anche su dispositivi mobili e contenere al proprio interno collegamenti, hyperlink, azioni programmate, legati logicamente ai singoli spazi e manufatti. Insomma è possibile rendere contestuali agli spazi e agli artefatti in esso presenti, azioni programmate o dinamicamente definibili.
Queste possibilità che di primo acchito possono sembrare utili alle sole operazioni di marketing e di simulazione, degne dei più grandi effetti speciali, utili per presentazioni pubbliche, coinvolgimento della rete, comunicazione web 2 o 3.0, all’occhio attento dell’innovazione possono invece suggerire l’uso per strutturare processi partecipati in ambito progettuale, in particolare per interventi territoriali di trasformazione. Tali progetti hanno la necessità di coinvolgere una comunità intera, spesso variegata e articolata, di raccogliere al meglio indicazioni, suggerimenti e valutazioni in modo contestuale e svolgere un ruolo importante di catalizzatore di scelte preliminari, scelte di messa a fuoco e di specifiche (es materiali, disposizioni, stili) e nella comunicazione correlata. Comunicazione che si manifesta nella prima fase altamente interattiva e capace di offrire le occasioni di contribuzione, poi più massmediatica nella fase di divulgazione del progetto e infine di supporto per il monitoraggio nella fase di realizzazione e di fruizione dell’opera.
Questa nuova frontiera può essere sperimentata per ottenere risultati inesplorati sia sul piano progettuale che sul piano metodologico ad esempio in progetti di riqualificazione e di intervento come nelle aree industriali limitrofe ai centri urbani.
L’attività progettuale diventa così composta anche da momenti laboratoriali, delle vere e proprie officine progettuali supportate ed estese attraverso ambienti online.
carlo crespellani p.